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Johnny Noiπ Sep 2018
XIII fuga                    - et si qui facit paleas:
Charles, et valorem et ex expansion Planck praeclaram
nobilis; maybe; Hic igitur ****, non est iustus,   lassus
salus, *** de actione retractationis homines qui volunt
foot vivere fine praeclara dierum scents *** annis Italiae
laminate ea vita est; Et factum est autem pietatem,
ideo quiescere de deserto vero ratio imaginis;
et ad martyrium Petri d'Einstein Domus page
Gloria ego sentias from ea in domo et in praesidio
Ad secundum mutationes separate confinia ita ut
I feel inexcusables vinegar, and vinum necessarium usum,
et cera alba dam mulier de terra per Einstein,       quod est
From Palma commando in securitatem et ens in lectulo
in mes, et malus est emptio principle fidem in tenebris;
Mode non sint plures tuum, sicut before annos ***,
regnum; Nudus *** Iudaeis Veni enim in splendoribus
volutpat extremi naturam Einstein et Lucrecia plenum
esset violent; Fit consume in coetibus; Illi, ut supra
dictum est in harenae "in project Baptismatum,
et quod peccata temporis: non enim dictum est, sed est
a *** sermo; Extra ordinem infantem pessulum ostii
aperu *** nuper judicatis Inaugurated in caelum
Einstein scriptor COCAINUM, ***,  qui Quod Sit adhuc
iudicio contendam cognitione communicare debetis noctu
Recensiones est mater mea et qui ex eo est europa
universalis filias regis, Hoc modus est frigus, et reginae
Alba Classroom volumine in comitatu Fusion-A mortuo Salis
Einstein scriptor ventus in flumine et in parte ostensum est,
in superiors, quia dum fieri potest ut ego postulo
mutare vel vitrum, Quod free mortuus quod autem ad
pecuniam Causidicali morbo in gym Given distantiam,
Einstein matris auditum edissere noctu Gratias tibi agimus,
oscula *** ad te in nocte, et mortuus est in Europa et
quod ducit ad festum celebrants diem pro habitu partium
naturam acutius QUI NATUS selio in domum Iuda in
desertum sortis erant, quod e Rerum ire ad unus de
you benefit from amicitias parabant regina of this;     Num erit
Crassitudo patrui eius Omnibus abstinet et DECREMENTUM;
Et tollet Northmanni locus in fine vitae, et febricitantem.

Flight 13 -       makes hay of Charles from the expansion
of the value of the Planck Institute, Nobel Prize; maybe;
This man is not just tired of hesitation,                  to those who want
safety more dynamic than the many excellent times to live 30 years
in the Italian duck:
This is the life plate & it is a pity;              Therefore unless the rest
of the waste system of the image; Einstein's home page
& martyrdom of Peter's Glory around the house &
around the terraces, will think about me? According to the changes
that evictions the use of wine vinegar becomes necessary;
Some white wax Einstein, from the land, that is,
De Palma command in the security being in bed
In the table,              the bad credit to purchase principle in the dark;
It was found out that at the age of 30;             the kingdom of naked
Jews as white as last weekend &  the full nature of Einstein's
manicurists & violence;           This is done through the rings
that consumers of the soul,              as has been shown above,
That is in the sand       "in the project baptisms for those sins,
as has been true when the word for it may be,          however,
the baby, bolt cutting inaugurated recently that opens judges
in the sky of Einstein's *******, 30 of which there is no other;
the knowledge of him communicates there also ought to be a last
wash at night,      I will execute judgmental reviews for the mother
& the European; the rest of this mode is cool & the Queen's White
Hall dead volume in the company Fusion-A Salt;  They came to the river
& on the other side as shown by Einstein
together into the higher,               because as long as it is, that the work of
free to change the crystal from the dead;               The right to the money,
far from a place of exercise of the disease Dada
Einstein's tonight and we thank you tell the hearing
with his mother,          30 kiss you on the night before he died
in Europe on the feast of celebrating the day,         for his part,
entering into the state of Nature younger than the instruments
home for a lifetime in the wilderness of Judah,      which lieth
in one of the things but these are the goods of love,
but they are prepared for a queen, from the thickness
of the self-native wife & shrinkage;
That is normally located at the end of life & fever.
Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?

Sonavan le quiete
stanze, e le vie dintorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.

Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d'in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch'io sentiva in seno.

Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? Perché di tanto
inganni i figli tuoi?

Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d'amore.

Anche peria tra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negaro i fati
la giovanezza. Ahi come,
come passata sei,
cara compagna dell'età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? Questi
i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano.
El no
el no inóvulo
el no nonato
el noo
el no poslodocosmos de impuros ceros noes que noan noan noan
y nooan
y plurimono noan al morbo amorfo noo
no démono
no deo
sin son sin **** ni órbita
el yerto inóseo noo en unisolo amódulo
sin poros ya sin nódulo
ni yo ni fosa ni hoyo
el macro no ni polvo
el no más nada todo
el puro no
sin no
Placida notte, e verecondo raggio
Della cadente luna; e tu che spunti
Fra la tacita selva in su la rupe,
Nunzio del giorno; oh dilettose e care
Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,
Sembianze agli occhi miei; già non arride
Spettacol molle ai disperati affetti.
Noi l'insueto allor gaudio ravviva
Quando per l'etra liquido si volve
E per li campi trepidanti il flutto
Polveroso dè Noti, e quando il carro,
Grave carro di Giove a noi sul capo,
Tonando, il tenebroso aere divide.
Noi per le balze e le profonde valli
Natar giova trà nembi, e noi la vasta
Fuga dè greggi sbigottiti, o d'alto
Fiume alla dubbia sponda
Il suono e la vittrice ira dell'onda.
Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta
Infinita beltà parte nessuna
Alla misera Saffo i numi e l'empia
Sorte non fenno. À tuoi superbi regni
Vile, o natura, e grave ospite addetta,
E dispregiata amante, alle vezzose
Tue forme il core e le pupille invano
Supplichevole intendo. A me non ride
L'aprico margo, e dall'eterea porta
Il mattutino albor; me non il canto
Dè colorati augelli, e non dè faggi
Il murmure saluta: e dove all'ombra
Degl'inchinati salici dispiega
Candido rivo il puro seno, al mio
Lubrico piè le flessuose linfe
Disdegnando sottragge,
E preme in fuga l'odorate spiagge.
Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso
Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo
Il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
In che peccai bambina, allor che ignara
Di misfatto è la vita, onde poi scemo
Di giovanezza, e disfiorato, al fuso
Dell'indomita Parca si volvesse
Il ferrigno mio stame? Incaute voci
Spande il tuo labbro: i destinati eventi
Move arcano consiglio. Arcano è tutto,
Fuor che il nostro dolor. Negletta prole
Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
Dè celesti si posa. Oh cure, oh speme
Dè più verd'anni! Alle sembianze il Padre,
Alle amene sembianze eterno regno
Diè nelle genti; e per virili imprese,
Per dotta lira o canto,
Virtù non luce in disadorno ammanto.
Morremo. Il velo indegno a terra sparto
Rifuggirà l'ignudo animo a Dite,
E il crudo fallo emenderà del cieco
Dispensator dè casi. E tu cui lungo
Amore indarno, e lunga fede, e vano
D'implacato desio furor mi strinse,
Vivi felice, se felice in terra
Visse nato mortal. Me non asperse
Del soave licor del doglio avaro
Giove, poi che perir gl'inganni e il sogno
Della mia fanciullezza. Ogni più lieto
Giorno di nostra età primo s'invola.
Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra
Della gelida morte. Ecco di tante
Sperate palme e dilettosi errori,
Il Tartaro m'avanza; e il prode ingegno
Han la tenaria Diva,
E l'atra notte, e la silente riva.
Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?

Sonavan le quiete
stanze, e le vie dintorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.

Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d'in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch'io sentiva in seno.

Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? Perché di tanto
inganni i figli tuoi?

Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d'amore.

Anche peria tra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negaro i fati
la giovanezza. Ahi come,
come passata sei,
cara compagna dell'età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? Questi
i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano.
Placida notte, e verecondo raggio
Della cadente luna; e tu che spunti
Fra la tacita selva in su la rupe,
Nunzio del giorno; oh dilettose e care
Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,
Sembianze agli occhi miei; già non arride
Spettacol molle ai disperati affetti.
Noi l'insueto allor gaudio ravviva
Quando per l'etra liquido si volve
E per li campi trepidanti il flutto
Polveroso dè Noti, e quando il carro,
Grave carro di Giove a noi sul capo,
Tonando, il tenebroso aere divide.
Noi per le balze e le profonde valli
Natar giova trà nembi, e noi la vasta
Fuga dè greggi sbigottiti, o d'alto
Fiume alla dubbia sponda
Il suono e la vittrice ira dell'onda.
Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta
Infinita beltà parte nessuna
Alla misera Saffo i numi e l'empia
Sorte non fenno. À tuoi superbi regni
Vile, o natura, e grave ospite addetta,
E dispregiata amante, alle vezzose
Tue forme il core e le pupille invano
Supplichevole intendo. A me non ride
L'aprico margo, e dall'eterea porta
Il mattutino albor; me non il canto
Dè colorati augelli, e non dè faggi
Il murmure saluta: e dove all'ombra
Degl'inchinati salici dispiega
Candido rivo il puro seno, al mio
Lubrico piè le flessuose linfe
Disdegnando sottragge,
E preme in fuga l'odorate spiagge.
Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso
Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo
Il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
In che peccai bambina, allor che ignara
Di misfatto è la vita, onde poi scemo
Di giovanezza, e disfiorato, al fuso
Dell'indomita Parca si volvesse
Il ferrigno mio stame? Incaute voci
Spande il tuo labbro: i destinati eventi
Move arcano consiglio. Arcano è tutto,
Fuor che il nostro dolor. Negletta prole
Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
Dè celesti si posa. Oh cure, oh speme
Dè più verd'anni! Alle sembianze il Padre,
Alle amene sembianze eterno regno
Diè nelle genti; e per virili imprese,
Per dotta lira o canto,
Virtù non luce in disadorno ammanto.
Morremo. Il velo indegno a terra sparto
Rifuggirà l'ignudo animo a Dite,
E il crudo fallo emenderà del cieco
Dispensator dè casi. E tu cui lungo
Amore indarno, e lunga fede, e vano
D'implacato desio furor mi strinse,
Vivi felice, se felice in terra
Visse nato mortal. Me non asperse
Del soave licor del doglio avaro
Giove, poi che perir gl'inganni e il sogno
Della mia fanciullezza. Ogni più lieto
Giorno di nostra età primo s'invola.
Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra
Della gelida morte. Ecco di tante
Sperate palme e dilettosi errori,
Il Tartaro m'avanza; e il prode ingegno
Han la tenaria Diva,
E l'atra notte, e la silente riva.
Placida notte, e verecondo raggio
Della cadente luna; e tu che spunti
Fra la tacita selva in su la rupe,
Nunzio del giorno; oh dilettose e care
Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,
Sembianze agli occhi miei; già non arride
Spettacol molle ai disperati affetti.
Noi l'insueto allor gaudio ravviva
Quando per l'etra liquido si volve
E per li campi trepidanti il flutto
Polveroso dè Noti, e quando il carro,
Grave carro di Giove a noi sul capo,
Tonando, il tenebroso aere divide.
Noi per le balze e le profonde valli
Natar giova trà nembi, e noi la vasta
Fuga dè greggi sbigottiti, o d'alto
Fiume alla dubbia sponda
Il suono e la vittrice ira dell'onda.
Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta
Infinita beltà parte nessuna
Alla misera Saffo i numi e l'empia
Sorte non fenno. À tuoi superbi regni
Vile, o natura, e grave ospite addetta,
E dispregiata amante, alle vezzose
Tue forme il core e le pupille invano
Supplichevole intendo. A me non ride
L'aprico margo, e dall'eterea porta
Il mattutino albor; me non il canto
Dè colorati augelli, e non dè faggi
Il murmure saluta: e dove all'ombra
Degl'inchinati salici dispiega
Candido rivo il puro seno, al mio
Lubrico piè le flessuose linfe
Disdegnando sottragge,
E preme in fuga l'odorate spiagge.
Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso
Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo
Il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
In che peccai bambina, allor che ignara
Di misfatto è la vita, onde poi scemo
Di giovanezza, e disfiorato, al fuso
Dell'indomita Parca si volvesse
Il ferrigno mio stame? Incaute voci
Spande il tuo labbro: i destinati eventi
Move arcano consiglio. Arcano è tutto,
Fuor che il nostro dolor. Negletta prole
Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
Dè celesti si posa. Oh cure, oh speme
Dè più verd'anni! Alle sembianze il Padre,
Alle amene sembianze eterno regno
Diè nelle genti; e per virili imprese,
Per dotta lira o canto,
Virtù non luce in disadorno ammanto.
Morremo. Il velo indegno a terra sparto
Rifuggirà l'ignudo animo a Dite,
E il crudo fallo emenderà del cieco
Dispensator dè casi. E tu cui lungo
Amore indarno, e lunga fede, e vano
D'implacato desio furor mi strinse,
Vivi felice, se felice in terra
Visse nato mortal. Me non asperse
Del soave licor del doglio avaro
Giove, poi che perir gl'inganni e il sogno
Della mia fanciullezza. Ogni più lieto
Giorno di nostra età primo s'invola.
Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra
Della gelida morte. Ecco di tante
Sperate palme e dilettosi errori,
Il Tartaro m'avanza; e il prode ingegno
Han la tenaria Diva,
E l'atra notte, e la silente riva.
Yorlan Jan 12
El invierno ha tocado a mi puerta
y no tengo quien me abrigue.
Mi cuerpo y alma, piden a gritos
el calor de unos besos sinceros,
una fogata de abrazos tentadores,
el arruyo adulador de unos ojos
que no quieran sino mirarme con locura.
Pasiones para satisfacer mi hambre,
una locura de amaneceres desnudos
que me dejen sin aliento.
Sonrisas. Bailes en la cama,
con el morbo lujurioso de la música
de unos labios que gritan de placer.
Alejar a Cupido de mí,
como quien huye de la lluvia fría,
buscando refugio entre los portales
de una boca ardiente,
en los sabores que en una piel se anidan,
alumbrando el camino a casa
con la luz de sus ojos,
para que nada dañe nuestro apogeo
de lascivia y tentación prohibida,
aventuras de las cuales no sabe el amor;
con promesas que se quedan en la tierra
mientras yo busco tocar el cielo.
Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di gioventù salivi?

Sonavan le quiete
stanze, e le vie dintorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
così menare il giorno.

Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d'in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch'io sentiva in seno.

Che pensieri soavi,
che speranze, che cori, o Silvia mia!
Quale allor ci apparia
la vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta speme,
un affetto mi preme
acerbo e sconsolato,
e tornami a doler di mia sventura.
O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? Perché di tanto
inganni i figli tuoi?

Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
da chiuso morbo combattuta e vinta,
perivi, o tenerella. E non vedevi
il fior degli anni tuoi;
non ti molceva il core
la dolce lode or delle negre chiome,
or degli sguardi innamorati e schivi;
né teco le compagne ai dì festivi
ragionavan d'amore.

Anche peria tra poco
la speranza mia dolce: agli anni miei
anche negaro i fati
la giovanezza. Ahi come,
come passata sei,
cara compagna dell'età mia nova,
mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? Questi
i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
onde cotanto ragionammo insieme?
Questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano.
Valeria Chauvel Jan 2019
Un mar de sal, calla el silencio
el único velero en el horizonte,
del cual canta un triste heraldo,
y anuncia el pregón de las doce.

-He aquí bajo el vasto firmamento!
la solitud cuya presencia,
ahonda en un canto de lamento,
su más dolorosa esencia.

Como onduladas dunas distantes,
y el morbo de la ausencia,
una solitaria ave ronda en vuelo,
cantando la prolongada pena.

Se posa esta y contempla,
a la nada que la observa,
el lado lúgubre de la luna,
en la noche más oscura-.

Y el pobre heraldo en su voz más elevada,
recita el mensaje que nadie escucha,
entregado a la misma hora,
coge su flauta, canta y llora.

La soledad es la forma más profunda de la tristeza. La ausencia, el aislamiento, el más grande miedo del hombre.
Yorlan Jun 8
Tu cuerpo... un paisaje,
que en mis sueños se dibuja cada noche.
Una escultura del demonio,
vestida con la piel
de un ángel afrodisíaco.
Tus gemidos, mi nana para dormir,
una nota musical que escucho
mientras mis ojos descansan placenteros.

Y mientras mis ojos descansan placenteros,
mi mente sólo piensa en posiciones nuevas,
en caricias perfectas y besos prohibidos,
destinados para el día bendito
en que nos volvamos a ver.

Destinaré todo un día
para nuestros placeres ladinos.
Y durante la noche,
te recordaré la felicidad
de estar entre mis brazos,
atada por mis besos de Judas
y mi mano de Midas.
Te haré eternamente mía esas horas,
en que nos volvamos a ver.

No perdonaré nuestras faltas pasadas,
si el encuentro grato queda
entre las paredes de mi habitación.
Te castigaré con golpes de seda
que te harán gritar por más.

La luna sentirá envidia
cuando quede opacada por tu luz.
Las estrellas serán rojo rubor,
si se convierten en testigos de nuestro fuego.
Todo el universo se congelará en el tiempo,
el día que nos volvamos a ver.

Buen vino para calmar la sed.
Mucho morbo para la pasión del cuerpo.
Pocas palabras. No serán necesarias.
Luego la marcha en silencio perpetuo.
Un secreto sólo de dos.

...mi mente te piensa cada noche,
y me repite todo aquello que te hará,
el día que nos volvamos a ver.

— The End —